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Cronache italiane. Le spiagge private che costeggiano le coste della penisola sono diventate un business molto redditizio. Un’impasse tra concessionari e Ue che dura da vent’anni.
Questo articolo è carta bianca, scritto da un editore esterno alla rivista e non coinvolge la redazione nelle sue opinioni.
L’Italia, l’inventore della commedia dell’arte, ha messo in scena un meraviglioso piccolo spettacolo il 9 agosto. Le spiagge private hanno chiuso gli ombrelloni per due ore per protestare contro un provvedimento in discussione in Parlamento! Nessuno se ne è ancora accorto” Mare », (località costiere) i cosiddetti manager di queste società sono tra le aziende più potenti del Paese. Prende il nome dal commissario che la propose nel 2006, quando qualche anno fa il Parlamento italiano ignorò deliberatamente la direttiva europea Polkstein. Questa direttiva (contraria al divieto degli stabilimenti balneari, secondo Matteo Salvini, presidente della Lega, per la libertà delle persone) stabilisce che la gestione delle spiagge deve essere sottoposta a bandi europei aperti a tutti. Questo può sembrare un dato di fatto in materia di concorrenza, ma non per l’Italia.
Gli stabilimenti balneari si oppongono fermamente. E per una buona ragione: la penisola, che ha la costa più lunga dell’Unione Europea (circa 7.914 km), ha anche la maggiore percentuale di territorio occupato da aziende private (circa il 43% di spiaggia sabbiosa). Considerando tutte le tipologie di concessioni, si stima che oltre il 50% delle spiagge sia effettivamente esclusa dalla fruizione libera e senza restrizioni. Anche le spiagge rocciose cominciano a prendere d’assalto: sofisticati sistemi di palificazione permettono di trasformare ripide scogliere in accoglienti terrazze. Dopotutto, ci sono alcune spiagge ad accesso libero, la maggior parte delle quali non sono gestite dai comuni e, nelle calde giornate estive, possono essere affollate oltre ogni dignità. Ma le località costiere non vogliono solo la libertà di lavoro, vogliono anche la garanzia del proprio reddito: Lo Stato guadagna circa 100 milioni di euro all’anno dalle concessioni costiere ; D’altronde questi Il fatturato totale è stimato tra 1 e 1,5 miliardi di euro all’anno. In altre parole, le offerte sono quasi gratuite. Stupido? Partner? Distratto? Un po’ di più. Altra nota da aggiungere: Molte volte le concessioni balneari sono gestite dalle stesse persone per decenni, rinnovate con innumerevoli ampliamenti, tanto che gestori con investimenti importanti sentono naturale impegnarsi per un periodo. Se non eterno, almeno lunghissimo.
Conflitto di interessi e affari
Il rifiuto decennale dell’Italia di conformarsi alla direttiva Bolstein ha già portato ad una procedura di infrazione. Ma le località balneari tacciono: nel 2019 hanno portato al Parlamento europeo un deputato della Lega Nord, Massimo Casanova, proprietario della spiaggia Papeete di Milano Marittima (vicino a Rimini), diventata famosa diversi anni fa per le frequenti frequentazioni di Matteo. Salvini. Inoltre, dal 2022, oltre al ministro del Turismo Daniela Santange, è stato per molti anni fondatore e comproprietario di Twiga a Forte dei Marmi (Toscana), uno dei bagni più esclusivi del Paese.
La prossima estensione delle concessioni dovrebbe durare fino al 2029. Il business è sempre più importante: la Puglia, ad esempio, è diventata negli anni una delle mete più ambite per le vacanze al mare (per via della follia e della passione che sicuramente Georgia Meloni e il suo team dimostreranno). Resort (in regione) c’è uno degli stabilimenti più cari del Paese: nell’estate 2024 il Cinque Vale Beach Club di Marina de Pescoles (nel Salento) chiede fino a 1.010 euro al giorno per un “prima fila” ” posto, in riva al mare, “un posto in prima fila” è semplicemente un ombrellone e due. Non bisogna immaginare che la terrazza sia composta da sedie. Le aziende italiane del lusso offrono ormai spiagge come harem da “Mille e una notte”: tende, tende, divani, cuscini, condizionatori, televisori ultramoderni, Wi-Fi, champagne, chef internazionali e, per i più esigenti, un maggiordomo privato. Come un albergo di lusso senza mura, ma su suolo pubblico.
Ogni volta che si ripropone la questione dell’accettazione dell’ordinanza Bolstein (che si trascinava da quasi vent’anni), le località balneari italiane avanzano una nuova richiesta. L’ultima è questa: la gestione delle spiagge è infatti soggetta a bandi internazionali, e alcune di esse pretendono un risarcimento per gli investimenti fatti negli anni se perdono l’antico privilegio. L’enormità dei guadagni maturati nel frattempo non sembra essere una compensazione sufficiente.
Una battaglia trascurata per le spiagge libere
Ma mentre infuriano i conflitti per le spiagge a pagamento, che dire di quelle libere? In teoria dovrebbe esserci circa il 70% delle spiagge. Infatti, Molte di queste spiagge sono di difficile accesso. Si trovano in prossimità delle foci dei fiumi o delle zone industriali, oppure sono rocciose e impraticabili. A Napoli è autorizzato il libero accesso al mare per 200 metri dei 27 chilometri di spiaggia. A Palermo la Spiaggia Romagnolo, non balneabile, è libera. Nel nord Italia, Jesolo ha il 68% della sua costa privatizzata. La peggiore è Lignano Sabbiadoro con l’83% delle spiagge offerte.
Questo è il vero problema. Sebbene l’applicazione della direttiva Polkstein sembri attirare l’attenzione dei partiti di sinistra e ambientalisti, nessuna forza politica sembra essere interessata all’espansione delle spiagge ad accesso libero, alla loro regolamentazione e alla corretta manutenzione da parte dei comuni (come in Spagna). Grecia e altrove), vale a dire i diritti e il benessere della maggioranza dei cittadini.
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