Una dopo l’altra, le banche italiane corrono. Invece di pagare la tassa del 40% sui “plusprofitti” introdotta dal governo Meloni, vogliono accantonare miliardi di euro per rafforzare le riserve, opzione riconosciuta dalla legge.
Intesa Sanpaolo, numero uno del settore, ha annunciato mercoledì di voler aumentare le proprie riserve di 2,07 miliardi di euro invece di versare 828 milioni di euro al fisco. Giovedì la banca d’investimento Mediobanca ha optato per lo stesso scenario, accumulando riserve per 226 milioni di euro.
Entrambe le banche hanno seguito le orme della rivale UniCredit, che martedì ha annunciato che aumenterà le proprie riserve di 1,1 miliardi di euro per evitare di pagare un’imposta che le costerebbe 440 milioni di euro.
Il primo ministro Georgia Meloni è stato costretto ad annacquare il suo controverso piano fiscale dopo aver affrontato feroci critiche all’interno della sua stessa coalizione.
Criticando i “margini ingiusti delle banche”, ha difeso fino alla fine la sua linea, dalla quale si aspetta tre miliardi di euro di entrate. Ma nel progetto di bilancio 2024 non è prevista alcuna imposta a questo riguardo.
Per una buona ragione: le banche possono scegliere tra pagare effettivamente la tassa o aumentare le riserve non distribuibili – riserve che non possono essere distribuite sotto forma di dividendi – di un importo pari a due volte e mezzo l’imposta.
Se le banche utilizzano questo tipo di riserve per ridistribuire i profitti agli azionisti, rischiano sanzioni.
Deliziare le parti interessate
UniCredit ha già promesso ai suoi azionisti, confermando che “più di 6,5 miliardi di euro” saranno ridistribuiti nel 2023. Per quest’anno la banca prevede un utile netto di “almeno” 7,25 miliardi di euro.
Intesa Sanpaolo prevede di versare ai suoi azionisti 5,8 miliardi di euro e prevede un utile “altissimo” di 7 miliardi di euro.
Il suo capo Carlo Messina è stato l’unico banchiere italiano a non respingere l’idea di un’eventuale tassa bancaria, il cui gettito sarebbe destinato a “misure a favore delle persone più svantaggiate”.
Per l’occasione ha annunciato che la sua banca stanzierà 1,5 miliardi di euro nel periodo 2023-2027 per iniziative volte a “combattere le disuguaglianze sociali”.
Peccato per il fisco italiano. Francesco Galietti, fondatore della società di consulenza Policy Sonar, giudica che “le entrate aggiuntive generate dal prelievo bancario saranno inesistenti”.
“Alcuni membri del governo ammettono apertamente che l’idea di questa tassa è sbagliata perché danneggia la credibilità dell’Italia”, ha detto all’AFP.
“Azione demagogica”
Il colpo è stato sferrato da Marina Berlusconi, che a settembre ha denunciato la mossa come una mossa “demagogica” che rischiava di “ridurre l’attrattiva degli investitori stranieri”.
Figlia maggiore di Silvio Berlusconi, fondatore del partito conservatore Forza Italia, morto a giugno, è a capo della Fininvest, un conglomerato familiare che controlla numerose società, tra cui una quota del 30% nella Banca Mediolanum.
Le banche italiane hanno visto aumentare i loro interessi attivi in seguito al rialzo dei tassi di interesse, senza aumentare i pagamenti sui conti correnti dei loro clienti.
Quindi l’idea del governo Maloney è quella di tassare i “profitti in eccesso” derivanti da questa manna. Il piano, annunciato all’inizio di agosto in piena confusione, ha scatenato il panico sulla Borsa di Milano.
Le banche hanno registrato una capitalizzazione di 9,5 miliardi di euro in una sola seduta, prima che il governo correggesse la situazione e rivedesse il suo mandato due volte in 24 ore.
“È un governo che mette alla prova le reazioni dei mercati e, se la reazione è troppo forte, si tira indietro”, ha spiegato all’AFP Gilles Mock, capo economista del gruppo AXA.
Secondo lui “è molto positivo, è brutto durare come l’ex primo ministro britannico Liz Truss, che ha dovuto dimettersi perché voleva tagliare le tasse”.
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