venerdì, Novembre 22, 2024

L’Italia cerca un’autonomia differenziata che non c’è

Due delle principali riforme proposte dal governo di centrodestra al potere in Italia dal 2022. La prima prevede il rafforzamento del ruolo del primo ministro eletto a suffragio universale. La seconda, contestata da una parte della classe politica, è la proposta di legge sull'autonomia differenziale.

Il ministro degli Affari regionali Roberto Calderoli (Lega Nord) ha proposto che l'autonomia differenziata sia caratteristica di una regione con status ordinario di autonomia legislativa in materie con competenze simultanee, tra cui sanità, istruzione, trasporti, ambiente e commercio estero.

Oltre ai poteri, le regioni possono trattenere anche le entrate fiscali. La riforma è già stata approvata dal Senato ed è attualmente all'esame della Camera dei Deputati. L’approvazione definitiva arriverà molto probabilmente prima delle elezioni europee di giugno.

La riforma prevista dalla Costituzione

L’autonomia differenziale non è un’idea nuova, poiché esiste già nella Costituzione italiana dal 1948 (articolo 5):La repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; svolte in servizi fortemente dipendenti dallo Stato maggiore decentramento amministrativo; adatta i principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento.”

Ma il quadro regionale approvato nel 1970 non prevedeva un meccanismo per la sua attuazione.

Il divario Nord-Sud si sta aggravando?

Alcuni ritengono che questa autonomia differenziale non funzioni facilmente, soprattutto considerando il grado di affidabilità dei servizi pubblici nelle diverse regioni. Ad esempio, le strutture sanitarie in Lombardia e Veneto sono più efficienti di quelle delle regioni meridionali.

E il governo non è in grado di fornire maggiore assistenza economica a queste aree meno ricche affinché possano garantire i servizi essenziali ai propri cittadini.

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In Italia il debito pubblico è il più alto d’Europa; Secondo gli ultimi dati si tratta di 2.863 miliardi di euro.

La situazione peggiorerà con la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina, che costerà allo Stato circa 13 miliardi di euro e sarà completato entro il 2032.

L’autonomia differenziata avviata dal governo Meloni rischia di esacerbare ulteriormente le disparità regionali, indebolendo l’unità e la resilienza complessiva di un Paese fragile già segnato da profonde differenze e divisioni.

Così lo chiamano molti “Dividi i ricchi”. In altre parole, l’aggravarsi del divario Nord-Sud è un problema che affligge l’Italia fin dai tempi dell’Unità.

Si spiega così la ribellione dei sindaci guidati dal presidente della Campania, Vincenzo de Luca, lo scorso 13 febbraio.

Principio del dare e avere

Con questo discorso, la principale promessa del partito di Georgia Meloni, vengono sostituite le autorità regionali che vogliono vedere la capienza fino a venti regioni finora concessa dallo Stato. Inclusi ambiti sovrani come il sistema giudiziario, le norme generali relative all’istruzione e la tutela dell’ambiente.

L’idea del presidente del Consiglio italiano era che le regioni beneficiarie di questa autonomia differenziale potessero negoziare direttamente con lo Stato centrale.

Presentata come una nazionalista e sostanzialmente giacobina, Giorgia Meloni prende una svolta inaspettata con questa riforma che scuote le istituzioni italiane. Ma aveva davvero scelta? All’interno di uno dei suoi alleati, il governo di coalizione, vi è in realtà una profonda autonomia e decentralizzazione.

In cambio, spera di ottenere un altro vantaggio politico dalla sua improvvisa corsa nelle regioni. Lasciamo che il suo partner la sminuisca sostenendo la sua difesa di un progetto di elezione del capo del consiglio con voto popolare diretto.

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